La percezione della pandemia, tra scetticismo e realtà
Ricostruire la storia della diffusione del virus dell’HIV nell’uomo non è stato immediato: come capita spesso quando si è di fronte a qualcosa di completamente nuovo, incomprensione, scetticismo e false credenze si sono diffusi quanto il virus stesso, limitando, per lo meno in prima istanza, una conoscenza razionale e una gestione efficace del problema.
Originariamente, si pensava che l’AIDS riguardasse solo determinate “categorie” di persone: emofilici, uomini omosessuali, tossicodipendenti e haitiani, a causa di una maggiore incidenza della malattia in questi gruppi di persone. Per anni, infatti, l’AIDS fu identificata come la “malattia dei gay”, portando le persone eterosessuali ad una sottovalutazione del problema e ad una conseguente ampia diffusione del virus in tutto il mondo.
Solo nel 1984, grazie ad uno studio epidemiologico più approfondito, i ricercatori scoprirono che anche le donne potevano infettarsi mediante rapporti sessuali non protetti e, solo allora, l’HIV fu identificato come causa dell’AIDS. In quello stesso anno si contavano già 7699 casi di infezione e 3665 morti in USA e 762 casi in Europa. Nel 1995, le complicanze dovute all’AIDS costituivano la prima causa di morte delle persone tra i 25 e i 44 anni d’età.
Il lungo percorso di diffusione del virus
Gli studi eseguiti a posteriori fanno risalire il passaggio dell’HIV dagli scimpanzè all’uomo a prima del 1931, nella Repubblica democratica del Congo, probabilmente per contatto di un cacciatore con il sangue di uno scimpanzè infetto. Fino al 1960 il virus si sarebbe diffuso per lo più in quest’area dell’Africa, poi, a causa di cambiamenti sociali, oppure, come ipotizzano alcuni ricercatori, a causa dell’uso improprio di aghi non sterilizzati per somministrare farmaci e vaccini a diverse persone, il virus comincia a diffondersi più ampiamente e rapidamente, “migrando” ad Haiti fino a raggiungere l’America.
È il 1981 quando alcuni medici negli Stati Uniti riportano diagnosi di casi di polmonite da Pneumocystis carinii e di un raro tumore dei vasi sanguigni, il sarcoma di Kaposi, in alcuni giovani omosessuali delle aree di Los Angeles, San Francisco e New York. Nel 1982 si registrano i primi casi in Italia, Canada, Brasile e due anni dopo si scopre che la causa dell’AIDS è il virus dell’HIV, che infetta i linfociti T umani.
Tra ricerca del paziente zero e stigmatizzazione degli omosessuali, l’HIV si diffonde rapidamente anche tra gli eterosessuali, ma la piena comprensione del meccanismo di trasmissione del virus, ovvero il sangue, arriva molto tardi, tra il 1985 e il 1992; contemporaneamente, iniziano le campagne di sensibilizzazione riguardo ai comportamenti da adottare per proteggersi dal contagio e iniziano a circolare le prime notizie di possibili cure.
I passi della medicina in HIV
Nel frattempo, la scienza cerca di correre ai ripari e già nel 1987 viene approvata la zidovudina, un farmaco antiretrovirale inibitore nucleosidico della trascrittasi inversa, il primo trattamento contro l’AIDS. I farmaci antiretrovirali iniziano ad essere utilizzati dai pazienti sieropositivi dagli inizi degli anni ’90, e l’effetto è un rapido decremento delle morti causate dall’AIDS.
Oggi contrarre l’infezione da HIV non è più una condanna a morte come lo era fino a circa 30 anni fa, inoltre gli stessi farmaci consentono di condurre una vita sempre più simile a quella di una persona non infetta: grazie alla ricerca si è passati da un cocktail di 15 compresse al giorno ad una sola compressa giornaliera. Sono inoltre in fase di sperimentazione i long-acting drugs, molecole a lunga durata d’azione che permetterebbero addirittura di eseguire una sola iniezione intramuscolare di antiretrovirali al mese e la prospettiva è quella di estendere l’arco di tempo fino a permettere un’iniezione ogni quattro mesi.
Ma trovare soluzioni per curare dall’AIDS non è l’unica via intrapresa dalla ricerca: è ormai disponibile la PrEP, una terapia di profilassi contro l’infezione da HIV che permetterebbe una riduzione del rischio di contagio fino al 90%.
La responsabilità è in ognuno di noi
Nonostante gli enormi passi avanti fatti in materia di cura e prevenzione, l’HIV rimane tuttora una piaga sia nei paesi occidentali sia in quelli in via di sviluppo: i dati dell’UNAIDS stimano che, a fronte di 38 milioni di persone che vivono con il virus, nel 2019 ci siano state 1,7 milioni di nuove diagnosi. Le motivazioni di questi numeri sono complesse ma possono ricondursi principalmente ad una scarsa consapevolezza del rischio, e quindi ad una scarsa attenzione alla prevenzione, e soprattutto per quanto riguarda paesi come l’Africa, agli enormi ostacoli economici, politici e culturali che impediscono l’accesso delle persone sieropositive ai farmaci già esistenti.
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